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Close to You

 

 

…stanotte ho solo voglia di sognare…

Ora…

Mi piacerebbe poter dire che sono arrabbiata.
Probabilmente ne avrei motivo.

Mi piacerebbe poter dire che sono delusa.
Ci sarebbe qualche situazione che non ha incontrato le mie aspettative.

Mi piacerebbe poter dire che sono nostalgica.
Mi mancherebbe qualcosa.

Mi piacerebbe poter dire che sono stanca.
Avrei qualche fatica a pesarmi sulle spalle.

Mi piacerebbe anche poter dire che sono addolorata.
Avrei qualche spina.

Ci sarebbe comunque un motivo.

E invece sono triste. Semplicemente e tremendamente triste.
Senza un perché.
E l’unica cosa che mi testimonia che sono viva, sono solo le lacrime calde che mi rigano il viso.

 

tristezza

donne e Donne

E’ fin troppo facile, certe volte, da donna, guardarmi intorno, raccogliere esperienze personali e di amiche, rifletterci su, e sparare a zero sugli uomini.
E’ facile perché le situazioni che si presentano, pur mostrando vari livelli di fantasia e di differenze, si poggiano quasi sempre sulle stesse modalità, gli stessi schemi, tali da poter raggruppare tutta la popolazione testosteronica in cinque, massimo sei, categorie (ragionando a livello macroscopico, ovviamente).

Diventa invece più difficile, vuoi per coinvolgimento personale, vuoi per quel sentimento strano e opportunista che va sotto il nome di “solidarietà femminile”, aprire gli occhi su noi donne e riuscire a guardare il sozzume che macchia i nostri sentimenti e i nostri comportamenti nei confronti del maschio.

Ringraziando Odino, in questi giorni ho avuto l’opportunità di osservare varie donne. Ho visto mogli, compagne, fidanzate, single, madri, donne alla ricerca disperata di un uomo o di un altro uomo e mettermi le mani nei capelli è stato l’unico gesto che un po’, ma solo un po’, potesse tradurre lo sconforto, la delusione e, a tratti, anche la rabbia.

Ho visto affogare una casalinga (casalinga per scelta: lasciò il lavoro dopo il matrimonio, per dedicarsi al marito, ai figli e alla casa) in litri di detersivo. Quelli che lei ufficialmente usa per lavare le superfici domestiche, ma che in realtà, vuole che serva a cancellare tutta la sua frustrazione per aver indirizzato ogni energia nelle quattro mura domestiche. L’ho vista lamentarsi del marito e dei figli solo perché non tolgono le scarpe fuori la porta e si rifiutano di camminare in casa con le pattine; l’ho vista disperarsi perché non ha avuto il tempo di rifare il letto e di pulire il bagno; l’ho vista quasi bestemmiare perché il marito, di tanto in tanto, “pretende” di fare l’amore e non capisce che lei, a dover stare dietro a tutto, arriva la sera che non ha la forza neanche di respirare. E si incazza come una belva, quando il marito le rinfaccia che ha dimenticato di essere donna, la sua donna.

Ho parlato con una donna in carriera, tutta tailleur e agenda, e ho scoperto che le dà fastidio avere un compagno che provvede alla spesa e alle pulizie, perché lavora meno di lei. Non sopporta che sia lui “la donna di casa”, che le tolga lo scettro di regina della cucina, dell’ordine, dell’asse da stiro e della lavatrice. E non sopporta il fatto che l’iniziativa sessuale, pur accolta con passione dal suo lui, parta sempre da lei.

Ho visto quella realizzata solo ed esclusivamente nella maternità. Quella che si è sposata ed ha giaciuto nel talamo solo per poter usufruire di qualche spermatozoo, che cucina solo quello che piace alla figlia, che fa solo quello che dice la figlia, che vive ogni santissimo minuto di ogni santissima giornata solo in funzione della figlia. E anche lei si lamenta, perché ha accanto un uomo che è diventato un estraneo, che se le inventa tutte pur di uscire di casa: la pesca, il bricollage, il calcetto. Ma metterebbe la mano sul fuoco sulla sua fedeltà. E io so che non ce la perderebbe, perché lo conosco e so che la ama da morire, pur vivendo nella castità da tot anni quanti ne ha la figlia (figlia per la quale, ovviamente, esiste solo la madre).

Ho visto donne single rompere il cazzo ad uomini sposati solo per dimostrare a loro stesse e agli altri che, tutto sommato, meglio non sposate che cornute. E solo per il puro divertimento di togliere ad altre donne quello che loro non sono riuscite ad avere.
O ancora, altre single che hanno preteso di trovare l’amore tendo il cuore chiuso e le gambe aperte, e inveire contro uomini che le hanno solo usate.

Ho visto una donna stare col compagno solo perché in lui ha trovato accoglienza, amore, stabilità, certezze… ma innamorata perdutamente di un altro.

Ci sono donne che s’innamorano di un uomo e decidono di sceglierlo per la vita.
Ci sono donne che scelgono un uomo e decidono di innamorarsene.

La verità è che non credo nelle categorie, credo nelle persone.
Ed esistono uomini stronzi, cattivi, immaturi, patetici, ma anche quelli amorevoli, buoni, di cui poter avere fiducia e su cui poter contare.
Ed esistono donne amorevoli, buone, di cui poter avere fiducia e su cui poter contare, ma anche quelle stronze, cattive, immature e patetiche.

Ci sono donne che mi fanno vergognare di essere donna e donne che, invece, mi rendono fiera.

“Che tu sia per me il coltello”

La trama:
“In un gruppo di persone, un uomo nota una donna sconosciuta che sembra volersi isolare dagli altri. Yair, commosso da quella che egli interpreta come un’impercettibile e ostinata difesa, le scrive una lettera, proponendole un rapporto profondo, aperto, libero da qualsiasi vincolo. Un mondo privato si crea così fra loro e in questo processo di reciproco avvicinamento Yair e Myriam scoprono l’importanza dell’immaginazione nei rapporti umani e la sensualità che si nasconde nelle parole. Finché Yair si rende conto che le lettere di quella donna stanno aprendo un varco dentro di lui, chiedendogli con imperiosa delicatezza una inaspettata svolta interiore…”

"Che tu sia per me il coltello" - Grossman

Ambientato in Israele, è uno dei libri che più mi ha scavato dentro.
Ci sono dei passaggi che mi hanno presi a morsi l’anima e che, per un motivo o per un altro, ho sentito profondamente miei… ne riporto qualcuno qui: sarà come avere uno spazio in cui ritrovarli immediatamente, ogni volta che sentirò anche io la necessità di farmi sedurre dalle parole…
(Quante volte le parole mi hanno sedotta? Ma questa è un’altra storia…)

È stupido cercare di spiegare (e tuttavia non riesco a smettere), ma è sempre così per me. In qualche punto, molto vicino, si accumula qualcosa – o qualcuno – che implora di esplodere, soffocherà non trovando uno sfogo e, anche se non mi è assolutamente chiaro cosa – o chi – sia, capisco perfettamente il suo bisogno di erompere, sento chiaramente il suo grido soffocato.

 

Come se tu mi avessi teso una mano, facendomi superare il confine oltre il quale si trova la luce.

 

Cosa augurarti? A dire il vero, dovrei augurarti te stessa, perché tu sei il regalo più prezioso, più raro a cui possa pensare. Vorrei essere più coraggioso, per te.

 

Non ho mai incontrato una persona alla quale abbia desiderato affidare la mia anima. Ci sono dei geni a cui vengono date le tessere di un puzzle con l’immagine di un pappagallo e loro ne ricavano un pesce. Io ti ho consegnato un parassita e tu hai ricomposto un uomo. Usando gli stessi pezzi ma migliorandone il risultato.

 

Ma con te non mi comporto in modo logico: solo in modo follemente logico. E non voglio nemmeno aspettare, perché il tempo con te è diverso. È circolare, e ogni momento si trova esattamente alla stessa distanza dal centro.

 

A volte, ripeto ad alta voce una tua frase, o solo una sequenza di parole, e sento sfilacciarsi una cucitura interna, l’imbastitura dell’anima. Scrivi, ogni giorno sprecato è un delitto.

 

Ci siamo toccati ancora, guardandoci negli occhi. Uno sguardo diretto e tranquillo, molto semplice, tenendo conto dell’imbarazzo che di solito si crea in situazioni simili. Semplice come il bacio che si dà a un bambino quando viene a mostrarti una ferita. Il cuore si spezza al pensiero che si possa guardare così un adulto. Vorremmo staccarci ma non ne siamo capaci, e negli occhi di entrambi si aprono altri schermi in profondità. Penso a come un attimo simile ricordi il momento della tragedia, dopo la quale niente sarà più come prima. E noi, debolissimi, ci aggrappiamo l’una all’altro per non cadere e vediamo, con strana e triste lucidità, la nostra storia. Dal momento in cui ho cominciato a scriverti le parole sono sgorgate da un punto assolutamente nuovo, come se un seme fosse stato tenuto in serbo solo per un’amata particolare.

 

Voglio una visita guidata a quelle “profondità” misteriose, e pretendo di conoscere tutti gli strati sedimentati, per chiamarli almeno una volta per nome e avere da loro una risposta. Che siano finalmente miei, senza il solito, eterno silenzio (che in questo momento, per esempio, senza motivo apparente, nella calca del quotidiano, mi fa esplodere il cuore). 

Non avevo mai immaginato che conoscere il linguaggio di un estraneo potesse essere eccitante come il primo contatto con il suo corpo, il suo profumo, la sua pelle, i capelli e i nei.

Come vorrei pensare a noi come a due persone che si sono fatte un’iniezione di verità, per dirla, finalmente, la verità. Sarei felice di poter dire a me stesso: “Con lei ho stillato verità”. Sì, è questo quello che voglio. Voglio che tu sia per me il coltello, e anch’io lo sarò per te, prometto.

 

Bisognerebbe capire e chiarire una volta per tutte perché “un brutto momento” può andare avanti per mesi, mentre un momento di grazia dura sempre e soltanto un momento.

 

Non sai di quante allusioni a te sia pieno il mondo.

 

Ho letto una volta che gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all’estremità della spina dorsale. Si chiama luz in ebraico, e non si decompone dopo la morte né brucia nel fuoco. Da lì, da quell’ossicino, l’uomo verrà ricreato al momento della resurrezione dei morti. Così per un certo periodo ho fatto un piccolo gioco: cercavo di indovinare quale fosse il luz delle persone che conoscevo. Voglio dire, quale fosse l’ultima cosa che sarebbe rimasta di loro, impossibile da distruggere e dalla quale sarebbero stati ricreati. Ovviamente ho cercato anche il mio, ma nessuna parte soddisfaceva tutte le condizioni. Allora ho smesso di cercarlo. L’ho dichiarato disperso finché l’ho visto nel cortile della scuola. Subito quell’idea si è risvegliata in me e con lei è sorto il pensiero, folle e dolce, che forse il mio luz non si trova dentro di me, bensì in un’altra persona.

 

Non ho posto nella tua vita. Avrei già dovuto rassegnarmi. E se anche tu lo volessi, non oseresti trovarmi un posto libero nella tua “realtà”. (…) Nascondi a lei il mondo della tua immaginazione e a me quello della tua realtà. (…) e qual è il luogo in cui vivi veramente, una vita completa?

 

Non ce la faccio più così – la lontananza da te, questa astrazione – perché non riesco a contenere tutto quello che sta succedendo: ho veramente bisogno di un contatto diretto. Di un contatto diretto con te. Basta, vieni con il tuo corpo, nella tua interezza, completa o parziale, divisa o moltiplicata. Ma vieni a braccia aperte.

 

Anche solo immaginare il tuo modo di parlare mi calma. E mi rende felice. Mi scorre nel corpo come una medicina, facendoti gorgogliare dentro di me. Non smettere. Non smettere mai. A volte tocchi contemporaneamente il punto dove provo dolore e piacere.

 

Dentro di me esisti in un modo che mi atterrisce.

 

Dopo aver fatto l’amore, dormiremo abbracciati. La tua schiena contro il mio ventre. E io stringerò le dita dei piedi attorno alle tue caviglie, come delle mollette, perché tu non possa volar via la notte. Saremo come un’immagine in un libro di scienze: un frutto tagliato a metà, tu la buccia e io il torsolo.

 

 Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso.

 

Una tua goccia si è diluita in me.

 

E’ una legge scritta: chi vuole starmi vicino deve assumersi la responsabilità della mia anima. Perché qualunque idiota può capire come sia facile uccidermi. Uno sguardo ben mirato basterebbe. Non sto scherzando. Sono convinto che da qualche parte, dentro di me, c’è un punto vulnerabile che chiunque, anche uno sconosciuto, può vedere e colpire. Eliminarmi con una parola.

 

Muoio dalla voglia che avvenga un miracolo e che tu mi compaia davanti per caso, in strada.

 

E quando faremo l’amore voglio chiudere gli occhi a sfiorare con delicatezza i tuoi peli, laggiù, sotto l’ombelico, per sentire sotto le dita quel punto, uno dei punti, delicato e setoso, in cui da bambina ti sei trasformata in donna. 

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Caro Babbo Natale…

…sono ben 4 anni che ho ripreso l’abitudine di riscriverti la letterina, come si conviene ad una signorina per bene. Ma forse l’idea della “signorina per bene” è solo mia, perché sono ben 4 anni che non mi caghi neanche di striscio (facendomi rimanere molto, ma molto male… ti sembra giusto?).

E allora, a parte queste poche righe, quest’anno non ti scriverò.
Con affetto,

A.

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