“Che tu sia per me il coltello”

La trama:
“In un gruppo di persone, un uomo nota una donna sconosciuta che sembra volersi isolare dagli altri. Yair, commosso da quella che egli interpreta come un’impercettibile e ostinata difesa, le scrive una lettera, proponendole un rapporto profondo, aperto, libero da qualsiasi vincolo. Un mondo privato si crea così fra loro e in questo processo di reciproco avvicinamento Yair e Myriam scoprono l’importanza dell’immaginazione nei rapporti umani e la sensualità che si nasconde nelle parole. Finché Yair si rende conto che le lettere di quella donna stanno aprendo un varco dentro di lui, chiedendogli con imperiosa delicatezza una inaspettata svolta interiore…”

"Che tu sia per me il coltello" - Grossman

Ambientato in Israele, è uno dei libri che più mi ha scavato dentro.
Ci sono dei passaggi che mi hanno presi a morsi l’anima e che, per un motivo o per un altro, ho sentito profondamente miei… ne riporto qualcuno qui: sarà come avere uno spazio in cui ritrovarli immediatamente, ogni volta che sentirò anche io la necessità di farmi sedurre dalle parole…
(Quante volte le parole mi hanno sedotta? Ma questa è un’altra storia…)

È stupido cercare di spiegare (e tuttavia non riesco a smettere), ma è sempre così per me. In qualche punto, molto vicino, si accumula qualcosa – o qualcuno – che implora di esplodere, soffocherà non trovando uno sfogo e, anche se non mi è assolutamente chiaro cosa – o chi – sia, capisco perfettamente il suo bisogno di erompere, sento chiaramente il suo grido soffocato.

 

Come se tu mi avessi teso una mano, facendomi superare il confine oltre il quale si trova la luce.

 

Cosa augurarti? A dire il vero, dovrei augurarti te stessa, perché tu sei il regalo più prezioso, più raro a cui possa pensare. Vorrei essere più coraggioso, per te.

 

Non ho mai incontrato una persona alla quale abbia desiderato affidare la mia anima. Ci sono dei geni a cui vengono date le tessere di un puzzle con l’immagine di un pappagallo e loro ne ricavano un pesce. Io ti ho consegnato un parassita e tu hai ricomposto un uomo. Usando gli stessi pezzi ma migliorandone il risultato.

 

Ma con te non mi comporto in modo logico: solo in modo follemente logico. E non voglio nemmeno aspettare, perché il tempo con te è diverso. È circolare, e ogni momento si trova esattamente alla stessa distanza dal centro.

 

A volte, ripeto ad alta voce una tua frase, o solo una sequenza di parole, e sento sfilacciarsi una cucitura interna, l’imbastitura dell’anima. Scrivi, ogni giorno sprecato è un delitto.

 

Ci siamo toccati ancora, guardandoci negli occhi. Uno sguardo diretto e tranquillo, molto semplice, tenendo conto dell’imbarazzo che di solito si crea in situazioni simili. Semplice come il bacio che si dà a un bambino quando viene a mostrarti una ferita. Il cuore si spezza al pensiero che si possa guardare così un adulto. Vorremmo staccarci ma non ne siamo capaci, e negli occhi di entrambi si aprono altri schermi in profondità. Penso a come un attimo simile ricordi il momento della tragedia, dopo la quale niente sarà più come prima. E noi, debolissimi, ci aggrappiamo l’una all’altro per non cadere e vediamo, con strana e triste lucidità, la nostra storia. Dal momento in cui ho cominciato a scriverti le parole sono sgorgate da un punto assolutamente nuovo, come se un seme fosse stato tenuto in serbo solo per un’amata particolare.

 

Voglio una visita guidata a quelle “profondità” misteriose, e pretendo di conoscere tutti gli strati sedimentati, per chiamarli almeno una volta per nome e avere da loro una risposta. Che siano finalmente miei, senza il solito, eterno silenzio (che in questo momento, per esempio, senza motivo apparente, nella calca del quotidiano, mi fa esplodere il cuore). 

Non avevo mai immaginato che conoscere il linguaggio di un estraneo potesse essere eccitante come il primo contatto con il suo corpo, il suo profumo, la sua pelle, i capelli e i nei.

Come vorrei pensare a noi come a due persone che si sono fatte un’iniezione di verità, per dirla, finalmente, la verità. Sarei felice di poter dire a me stesso: “Con lei ho stillato verità”. Sì, è questo quello che voglio. Voglio che tu sia per me il coltello, e anch’io lo sarò per te, prometto.

 

Bisognerebbe capire e chiarire una volta per tutte perché “un brutto momento” può andare avanti per mesi, mentre un momento di grazia dura sempre e soltanto un momento.

 

Non sai di quante allusioni a te sia pieno il mondo.

 

Ho letto una volta che gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all’estremità della spina dorsale. Si chiama luz in ebraico, e non si decompone dopo la morte né brucia nel fuoco. Da lì, da quell’ossicino, l’uomo verrà ricreato al momento della resurrezione dei morti. Così per un certo periodo ho fatto un piccolo gioco: cercavo di indovinare quale fosse il luz delle persone che conoscevo. Voglio dire, quale fosse l’ultima cosa che sarebbe rimasta di loro, impossibile da distruggere e dalla quale sarebbero stati ricreati. Ovviamente ho cercato anche il mio, ma nessuna parte soddisfaceva tutte le condizioni. Allora ho smesso di cercarlo. L’ho dichiarato disperso finché l’ho visto nel cortile della scuola. Subito quell’idea si è risvegliata in me e con lei è sorto il pensiero, folle e dolce, che forse il mio luz non si trova dentro di me, bensì in un’altra persona.

 

Non ho posto nella tua vita. Avrei già dovuto rassegnarmi. E se anche tu lo volessi, non oseresti trovarmi un posto libero nella tua “realtà”. (…) Nascondi a lei il mondo della tua immaginazione e a me quello della tua realtà. (…) e qual è il luogo in cui vivi veramente, una vita completa?

 

Non ce la faccio più così – la lontananza da te, questa astrazione – perché non riesco a contenere tutto quello che sta succedendo: ho veramente bisogno di un contatto diretto. Di un contatto diretto con te. Basta, vieni con il tuo corpo, nella tua interezza, completa o parziale, divisa o moltiplicata. Ma vieni a braccia aperte.

 

Anche solo immaginare il tuo modo di parlare mi calma. E mi rende felice. Mi scorre nel corpo come una medicina, facendoti gorgogliare dentro di me. Non smettere. Non smettere mai. A volte tocchi contemporaneamente il punto dove provo dolore e piacere.

 

Dentro di me esisti in un modo che mi atterrisce.

 

Dopo aver fatto l’amore, dormiremo abbracciati. La tua schiena contro il mio ventre. E io stringerò le dita dei piedi attorno alle tue caviglie, come delle mollette, perché tu non possa volar via la notte. Saremo come un’immagine in un libro di scienze: un frutto tagliato a metà, tu la buccia e io il torsolo.

 

 Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso.

 

Una tua goccia si è diluita in me.

 

E’ una legge scritta: chi vuole starmi vicino deve assumersi la responsabilità della mia anima. Perché qualunque idiota può capire come sia facile uccidermi. Uno sguardo ben mirato basterebbe. Non sto scherzando. Sono convinto che da qualche parte, dentro di me, c’è un punto vulnerabile che chiunque, anche uno sconosciuto, può vedere e colpire. Eliminarmi con una parola.

 

Muoio dalla voglia che avvenga un miracolo e che tu mi compaia davanti per caso, in strada.

 

E quando faremo l’amore voglio chiudere gli occhi a sfiorare con delicatezza i tuoi peli, laggiù, sotto l’ombelico, per sentire sotto le dita quel punto, uno dei punti, delicato e setoso, in cui da bambina ti sei trasformata in donna. 

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8 thoughts on ““Che tu sia per me il coltello”

  1. prigioniera_del_deserto 2 dicembre 2012 alle 21:49 Reply

    Posso dire che il post non l’ho letto? Meditavo di leggere il libro anche se mi sa di essere un pò pesante e quindi non volevo troppe anteprime.
    Me lo consigli?

    • buonaventurablog 2 dicembre 2012 alle 21:56 Reply

      Assolutamente sì!
      Io ho letto con difficoltà le prime 50 pagine. Lo trovavo, come dire… “onanistico”. Poi andando avanti mi ha travolta e una volta finito, l’ho riletto da capo, gustando anche quelle pagine che avevo strascinato. Stupendo, secondo me, e vero, autentico.

      • prigioniera_del_deserto 2 dicembre 2012 alle 21:58

        Lo leggerò anche io allora. Spero solo di trovarne il tempo.
        Grazie del consiglio 🙂

      • buonaventurablog 2 dicembre 2012 alle 22:29

        De nada! 😉

  2. ventoetempofermo 3 dicembre 2012 alle 12:09 Reply

    Anche a me è piaciuto molto…ho iniziato a leggerlo tre volte, senza mai riuscire a finirlo. L’ultima volta l’ho divorato…ha saputo molto entrarmi dentro.

    • buonaventurablog 3 dicembre 2012 alle 12:13 Reply

      E’ un libro che, alle prime pagine, non si lascia leggere facilmente. E necessita anche di una certa apertura mentale, dal momento che proietta in un mondo dove il modo di vedere le cose e di viverle e di sentirle, è forse un po’ troppo lontano dal comune senso “normale” dei rapporti. Ma poi rapisce… e, al momento, sono alla terza rilettura… 🙂

  3. © Vera Marte 3 dicembre 2012 alle 15:47 Reply

    A quanto pare non sono l’unica che, se potesse, si appunterebbe l’intero libro… 🙂
    Mi hai fatto venire voglia di rileggerlo, e mi hai fatto realizzare d’un colpo che sto vivendo un’esperienza simile…
    Un abbraccio!

    • buonaventurablog 3 dicembre 2012 alle 16:53 Reply

      E’ stata infatti una fatica scegliere dei passaggi piuttosto che altri.
      E quant’è bello ritrovarsi in un libro, scoprire parole che si vorrebbero dire ma che non vengono fuori se non dalla penna di qualcun altro…
      Un abbraccio a te! 🙂

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