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La Vera Verità?

Non esistono uomini spaventati, confusi, disillusi. Non esistono uomini tragicamente segnati dalle passate esperienze, bisognosi d’aiuto, bisognosi di tempo. Gli uomini si dividono in due categorie soltanto : Quelli che ti vogliono. E Quelli che non ti vogliono. Tutto il resto è una scusa. E tu, tu donna, di mestiere fai l’avvocato, la commessa, la cameriera, l’insegnante, la casalinga, la commercialista, la modella, la ragioniera, l’attrice, la studentessa. Non la crocerossina. Quindi. Aspetta che sia lui a chiederti di uscire. Perché va bene la parità dei sessi, le quote rosa, e l’eguaglianza dei diritti. Ma i tempi non sono poi così cambiati. Gli uomini restano pur sempre dei cavernicoli, sia pure incravattati, e come tali adorano il sapore della conquista. Tieniti lontana dagli uomini sposati. Non lasceranno la moglie per te. Meno che mai lasceranno i figli per te. E non credere alla storia dell’amica della sorella di tua cugina, appena convolata a nozze con quello divorziato. Tu non sei l’eccezione. Tu sei la regola. Al bando quelli che ti costringono ad aspettare ore accanto ad un telefono che non suona. Non hanno perso il tuo numero. Non hanno investito un cane. Non hanno appena scoperto di avere un tumore alla prostata. Probabilmente sono al telefono con un’altra. Oppure sono gay. Fanculo quelli che non declinano i verbi al futuro. Non sono analfabeti. Semplicemente non vogliono impegnarsi. Perchè non gli piaci abbastanza. Li riconosci facilmente. Girano con un cartello appeso al collo, e la scritta : “Ci stiamo frequentando”. Quando la senti, scappa. Non consumare le tue belle scarpe nuove (e neppure quelle vecchie) per correre dietro un uomo che non ti vuole. Usale, piuttosto, per prenderlo a calci in culo. Impara l’arte dell’essere donna. Impara l’arte di ottenere dagli uomini quello che desideri, non sbattendo i piedini, ma facendogli credere che siano stati loro a decidere. Impara a scegliere, invece che essere scelta.

[cit. “La verità è che non gli piaci abbastanza”]

In questa valle di uomini…

Non amo le generalizzazioni, le estremizzazioni. Ascolto sempre con sospetto e diffidenza frasi come: “Gli uomini sono tutti uguali” o “Non ti fidare MAI di nessuno di loro”.
Ché quelli diversi ci sono e c’è anche di chi potersi fidare.

Fatto sta che ultimamente mi imbatto sempre nelle stesse tipologie d’uomo: il banale/insignificante, che crede che per conquistare una donna vadano ancora bene le tattiche che usava per conquistare la compagna di banco… alle elementari! Quello che quando ha detto: “Vorrei scoparti tutta la notte” (con una buona dose di ottimismo… questo va riconosciuto!) e nient’altro, pensa di aver tirato fuori il meglio del frasario del perfetto latin lover. Poi c’è quello più assurdo di tutti, che cerca di ammaliare con frasi del tipo: “Non faccio che pensare a te” o “Con te potrei riuscirci” o, peggio, “Se l’altra metà della mela”, per poi scappare non si sa a seguito di cosa.

I primi mi fanno sorridere. Che poi, poverini, quasi sempre sono quelli che sono mossi dai sentimenti più sinceri… ma proprio mi risulta difficile mettere una crocetta sul SI o sul NO o sul FORSE sul bigliettino, in risposta alla domanda: “Ti vuoi mettere con me?”. Lo trovavo atroce già alle elementari, figuriamoci adesso… e se avessi voluto un uomo/bambino, da coccolare, vezzeggiare e proteggere, parliamoci chiaro, avrei preso il primo che capitava e mi sarei fatta ingravidare. Almeno i ruoli erano legittimati.

I secondi mi fanno cascare le braccia. E sì che mi piace l’uomo che prende l’iniziativa, quello che mi fa sentire desiderata e pure quello che puzza di testosterone da km di distanza, ma cazzo!!! Lo sanno pure i primi che noi donne amiamo essere prese un po’ per il culo! E allora che vi costa usare qualche eufemismo? Alla fine il senso sempre quello è, ma nel frattempo avrete coccolato anche un po’ il mio amor proprio e quella parte del mio cervello che risponde solo alle sollecitazioni romantiche. Basterebbe anche dirla così come la pensate, ma magari dopo mezz’ora che si parla anche di altro? No? Vabbè! Fa niente.

L’ultima categoria è la più subdola… perché qualcuna potrebbe ancora non essere così disillusa e smaliziata e crederci!
Non solo… ma a che servono tutte ste puttanate?
Che già si fa fatica a credere che cinque minuti, un caffè (preso tra l’altro per caso, perché mi hai incontrato per strada e m’è parso brutto dirti di no… in fondo abbiamo fatto il liceo insieme e poco importa se sono quasi 15 anni che non ci vediamo!) e poche parole possano essere sufficienti per un innamoramento folgorante (specie per un’insicura cronica come me), figuriamoci se posso dar credito ad uno che promette di svelarmi il quarto mistero di Fatima e che poi scappa a gambe levate… magari per ritornare una settimana dopo, dicendo, con un messaggio su Facebook, che l’intensità dei sentimenti provati l’hanno spaventato.
Voglio dire… l’utero è un accessorio prettamente femminile, ma evidentemente gli estrogeni no.
E mi viene da ridere.

 

Mi piacerebbe…

Mi piacerebbe se ogni tanto trovassi qualche desidero fuori la porta di casa, senza dover andare a cercarmelo in culo ai lupi.

Mi piacerebbe che qualcuno mi telefonasse e mi dicesse: “Prepara la valigia, vengo a prenderti stasera e ce ne andiamo a fare un fine settimana fuori in un posto che ti piace tanto!”.

Mi piacerebbe ricevere una sorpresa, una bella sorpresa.

Mi piacerebbe un’emozione.

Mi piacerebbe sentirmi dire: “Lasciati amare!”.

Mi piacerebbe sentirmi dire: “Amami!”.

Mi piacerebbe che Mastrolindo, con una piroetta, tirasse a lucido anche casa mia.

Mi piacerebbe mangiare pizza tutte le sere.

Mi piacerebbe che si realizzassero tutte le promesse.

Mi piacerebbe guardarmi allo specchio e trovarmi bella.

Mi piacerebbe avere tanti soldi e far trovare un po’ di pace alle persone che amo e che arrivano affannando a fine mese.

Mi piacerebbe sapere la verità.

Mi piacerebbe che questo periodo di piattume emotivo finisse e lasciasse spazio ad un rinnovato vigore e una rinnovata energia.

Mi piacerebbe tornare a ridere in maniera incontrollata, anche sguaiata – perché no? – e smettere solo quando mi vengono i crampi alle mascelle.

Mi piacerebbe vivere un altro Natale con il mio gattino.

Mi piacerebbe avere una pipa.

Mi piacerebbe che qualcuno mi dedicasse una canzone.

Mi piacerebbe riuscire a creare un coro tutto mio.

Mi piacerebbe essere entusiasta di nuovo per qualcosa.

Mi piacerebbe attendere qualcosa di bello.

Mi piacerebbe alzarmi una mattina e non dover più pensare al problema dei peli superflui.

Mi piacerebbe che mia mamma fosse di nuovo autonoma e felice.

Mi piacerebbe che fossero inventati teletrasporto e macchina del tempo… e che fossero abbastanza economiche da potermele permettere.

Mi piacerebbe ricordare tutte le cose che mi piacerebbero…

 

 

“Che tu sia per me il coltello”

La trama:
“In un gruppo di persone, un uomo nota una donna sconosciuta che sembra volersi isolare dagli altri. Yair, commosso da quella che egli interpreta come un’impercettibile e ostinata difesa, le scrive una lettera, proponendole un rapporto profondo, aperto, libero da qualsiasi vincolo. Un mondo privato si crea così fra loro e in questo processo di reciproco avvicinamento Yair e Myriam scoprono l’importanza dell’immaginazione nei rapporti umani e la sensualità che si nasconde nelle parole. Finché Yair si rende conto che le lettere di quella donna stanno aprendo un varco dentro di lui, chiedendogli con imperiosa delicatezza una inaspettata svolta interiore…”

"Che tu sia per me il coltello" - Grossman

Ambientato in Israele, è uno dei libri che più mi ha scavato dentro.
Ci sono dei passaggi che mi hanno presi a morsi l’anima e che, per un motivo o per un altro, ho sentito profondamente miei… ne riporto qualcuno qui: sarà come avere uno spazio in cui ritrovarli immediatamente, ogni volta che sentirò anche io la necessità di farmi sedurre dalle parole…
(Quante volte le parole mi hanno sedotta? Ma questa è un’altra storia…)

È stupido cercare di spiegare (e tuttavia non riesco a smettere), ma è sempre così per me. In qualche punto, molto vicino, si accumula qualcosa – o qualcuno – che implora di esplodere, soffocherà non trovando uno sfogo e, anche se non mi è assolutamente chiaro cosa – o chi – sia, capisco perfettamente il suo bisogno di erompere, sento chiaramente il suo grido soffocato.

 

Come se tu mi avessi teso una mano, facendomi superare il confine oltre il quale si trova la luce.

 

Cosa augurarti? A dire il vero, dovrei augurarti te stessa, perché tu sei il regalo più prezioso, più raro a cui possa pensare. Vorrei essere più coraggioso, per te.

 

Non ho mai incontrato una persona alla quale abbia desiderato affidare la mia anima. Ci sono dei geni a cui vengono date le tessere di un puzzle con l’immagine di un pappagallo e loro ne ricavano un pesce. Io ti ho consegnato un parassita e tu hai ricomposto un uomo. Usando gli stessi pezzi ma migliorandone il risultato.

 

Ma con te non mi comporto in modo logico: solo in modo follemente logico. E non voglio nemmeno aspettare, perché il tempo con te è diverso. È circolare, e ogni momento si trova esattamente alla stessa distanza dal centro.

 

A volte, ripeto ad alta voce una tua frase, o solo una sequenza di parole, e sento sfilacciarsi una cucitura interna, l’imbastitura dell’anima. Scrivi, ogni giorno sprecato è un delitto.

 

Ci siamo toccati ancora, guardandoci negli occhi. Uno sguardo diretto e tranquillo, molto semplice, tenendo conto dell’imbarazzo che di solito si crea in situazioni simili. Semplice come il bacio che si dà a un bambino quando viene a mostrarti una ferita. Il cuore si spezza al pensiero che si possa guardare così un adulto. Vorremmo staccarci ma non ne siamo capaci, e negli occhi di entrambi si aprono altri schermi in profondità. Penso a come un attimo simile ricordi il momento della tragedia, dopo la quale niente sarà più come prima. E noi, debolissimi, ci aggrappiamo l’una all’altro per non cadere e vediamo, con strana e triste lucidità, la nostra storia. Dal momento in cui ho cominciato a scriverti le parole sono sgorgate da un punto assolutamente nuovo, come se un seme fosse stato tenuto in serbo solo per un’amata particolare.

 

Voglio una visita guidata a quelle “profondità” misteriose, e pretendo di conoscere tutti gli strati sedimentati, per chiamarli almeno una volta per nome e avere da loro una risposta. Che siano finalmente miei, senza il solito, eterno silenzio (che in questo momento, per esempio, senza motivo apparente, nella calca del quotidiano, mi fa esplodere il cuore). 

Non avevo mai immaginato che conoscere il linguaggio di un estraneo potesse essere eccitante come il primo contatto con il suo corpo, il suo profumo, la sua pelle, i capelli e i nei.

Come vorrei pensare a noi come a due persone che si sono fatte un’iniezione di verità, per dirla, finalmente, la verità. Sarei felice di poter dire a me stesso: “Con lei ho stillato verità”. Sì, è questo quello che voglio. Voglio che tu sia per me il coltello, e anch’io lo sarò per te, prometto.

 

Bisognerebbe capire e chiarire una volta per tutte perché “un brutto momento” può andare avanti per mesi, mentre un momento di grazia dura sempre e soltanto un momento.

 

Non sai di quante allusioni a te sia pieno il mondo.

 

Ho letto una volta che gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all’estremità della spina dorsale. Si chiama luz in ebraico, e non si decompone dopo la morte né brucia nel fuoco. Da lì, da quell’ossicino, l’uomo verrà ricreato al momento della resurrezione dei morti. Così per un certo periodo ho fatto un piccolo gioco: cercavo di indovinare quale fosse il luz delle persone che conoscevo. Voglio dire, quale fosse l’ultima cosa che sarebbe rimasta di loro, impossibile da distruggere e dalla quale sarebbero stati ricreati. Ovviamente ho cercato anche il mio, ma nessuna parte soddisfaceva tutte le condizioni. Allora ho smesso di cercarlo. L’ho dichiarato disperso finché l’ho visto nel cortile della scuola. Subito quell’idea si è risvegliata in me e con lei è sorto il pensiero, folle e dolce, che forse il mio luz non si trova dentro di me, bensì in un’altra persona.

 

Non ho posto nella tua vita. Avrei già dovuto rassegnarmi. E se anche tu lo volessi, non oseresti trovarmi un posto libero nella tua “realtà”. (…) Nascondi a lei il mondo della tua immaginazione e a me quello della tua realtà. (…) e qual è il luogo in cui vivi veramente, una vita completa?

 

Non ce la faccio più così – la lontananza da te, questa astrazione – perché non riesco a contenere tutto quello che sta succedendo: ho veramente bisogno di un contatto diretto. Di un contatto diretto con te. Basta, vieni con il tuo corpo, nella tua interezza, completa o parziale, divisa o moltiplicata. Ma vieni a braccia aperte.

 

Anche solo immaginare il tuo modo di parlare mi calma. E mi rende felice. Mi scorre nel corpo come una medicina, facendoti gorgogliare dentro di me. Non smettere. Non smettere mai. A volte tocchi contemporaneamente il punto dove provo dolore e piacere.

 

Dentro di me esisti in un modo che mi atterrisce.

 

Dopo aver fatto l’amore, dormiremo abbracciati. La tua schiena contro il mio ventre. E io stringerò le dita dei piedi attorno alle tue caviglie, come delle mollette, perché tu non possa volar via la notte. Saremo come un’immagine in un libro di scienze: un frutto tagliato a metà, tu la buccia e io il torsolo.

 

 Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso.

 

Una tua goccia si è diluita in me.

 

E’ una legge scritta: chi vuole starmi vicino deve assumersi la responsabilità della mia anima. Perché qualunque idiota può capire come sia facile uccidermi. Uno sguardo ben mirato basterebbe. Non sto scherzando. Sono convinto che da qualche parte, dentro di me, c’è un punto vulnerabile che chiunque, anche uno sconosciuto, può vedere e colpire. Eliminarmi con una parola.

 

Muoio dalla voglia che avvenga un miracolo e che tu mi compaia davanti per caso, in strada.

 

E quando faremo l’amore voglio chiudere gli occhi a sfiorare con delicatezza i tuoi peli, laggiù, sotto l’ombelico, per sentire sotto le dita quel punto, uno dei punti, delicato e setoso, in cui da bambina ti sei trasformata in donna. 

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Anestetizzata…

Anestesia: abolizione totale o parziale della sensibilità.
Indica genericamente l’abolizione della sensibilità, della coscienza e del dolore, associato a rilassamento muscolare.

Non sento.
Non sento più niente.

Dolore al cloroformio.

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