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donne e Donne

E’ fin troppo facile, certe volte, da donna, guardarmi intorno, raccogliere esperienze personali e di amiche, rifletterci su, e sparare a zero sugli uomini.
E’ facile perché le situazioni che si presentano, pur mostrando vari livelli di fantasia e di differenze, si poggiano quasi sempre sulle stesse modalità, gli stessi schemi, tali da poter raggruppare tutta la popolazione testosteronica in cinque, massimo sei, categorie (ragionando a livello macroscopico, ovviamente).

Diventa invece più difficile, vuoi per coinvolgimento personale, vuoi per quel sentimento strano e opportunista che va sotto il nome di “solidarietà femminile”, aprire gli occhi su noi donne e riuscire a guardare il sozzume che macchia i nostri sentimenti e i nostri comportamenti nei confronti del maschio.

Ringraziando Odino, in questi giorni ho avuto l’opportunità di osservare varie donne. Ho visto mogli, compagne, fidanzate, single, madri, donne alla ricerca disperata di un uomo o di un altro uomo e mettermi le mani nei capelli è stato l’unico gesto che un po’, ma solo un po’, potesse tradurre lo sconforto, la delusione e, a tratti, anche la rabbia.

Ho visto affogare una casalinga (casalinga per scelta: lasciò il lavoro dopo il matrimonio, per dedicarsi al marito, ai figli e alla casa) in litri di detersivo. Quelli che lei ufficialmente usa per lavare le superfici domestiche, ma che in realtà, vuole che serva a cancellare tutta la sua frustrazione per aver indirizzato ogni energia nelle quattro mura domestiche. L’ho vista lamentarsi del marito e dei figli solo perché non tolgono le scarpe fuori la porta e si rifiutano di camminare in casa con le pattine; l’ho vista disperarsi perché non ha avuto il tempo di rifare il letto e di pulire il bagno; l’ho vista quasi bestemmiare perché il marito, di tanto in tanto, “pretende” di fare l’amore e non capisce che lei, a dover stare dietro a tutto, arriva la sera che non ha la forza neanche di respirare. E si incazza come una belva, quando il marito le rinfaccia che ha dimenticato di essere donna, la sua donna.

Ho parlato con una donna in carriera, tutta tailleur e agenda, e ho scoperto che le dà fastidio avere un compagno che provvede alla spesa e alle pulizie, perché lavora meno di lei. Non sopporta che sia lui “la donna di casa”, che le tolga lo scettro di regina della cucina, dell’ordine, dell’asse da stiro e della lavatrice. E non sopporta il fatto che l’iniziativa sessuale, pur accolta con passione dal suo lui, parta sempre da lei.

Ho visto quella realizzata solo ed esclusivamente nella maternità. Quella che si è sposata ed ha giaciuto nel talamo solo per poter usufruire di qualche spermatozoo, che cucina solo quello che piace alla figlia, che fa solo quello che dice la figlia, che vive ogni santissimo minuto di ogni santissima giornata solo in funzione della figlia. E anche lei si lamenta, perché ha accanto un uomo che è diventato un estraneo, che se le inventa tutte pur di uscire di casa: la pesca, il bricollage, il calcetto. Ma metterebbe la mano sul fuoco sulla sua fedeltà. E io so che non ce la perderebbe, perché lo conosco e so che la ama da morire, pur vivendo nella castità da tot anni quanti ne ha la figlia (figlia per la quale, ovviamente, esiste solo la madre).

Ho visto donne single rompere il cazzo ad uomini sposati solo per dimostrare a loro stesse e agli altri che, tutto sommato, meglio non sposate che cornute. E solo per il puro divertimento di togliere ad altre donne quello che loro non sono riuscite ad avere.
O ancora, altre single che hanno preteso di trovare l’amore tendo il cuore chiuso e le gambe aperte, e inveire contro uomini che le hanno solo usate.

Ho visto una donna stare col compagno solo perché in lui ha trovato accoglienza, amore, stabilità, certezze… ma innamorata perdutamente di un altro.

Ci sono donne che s’innamorano di un uomo e decidono di sceglierlo per la vita.
Ci sono donne che scelgono un uomo e decidono di innamorarsene.

La verità è che non credo nelle categorie, credo nelle persone.
Ed esistono uomini stronzi, cattivi, immaturi, patetici, ma anche quelli amorevoli, buoni, di cui poter avere fiducia e su cui poter contare.
Ed esistono donne amorevoli, buone, di cui poter avere fiducia e su cui poter contare, ma anche quelle stronze, cattive, immature e patetiche.

Ci sono donne che mi fanno vergognare di essere donna e donne che, invece, mi rendono fiera.

Caro Babbo Natale…

…sono ben 4 anni che ho ripreso l’abitudine di riscriverti la letterina, come si conviene ad una signorina per bene. Ma forse l’idea della “signorina per bene” è solo mia, perché sono ben 4 anni che non mi caghi neanche di striscio (facendomi rimanere molto, ma molto male… ti sembra giusto?).

E allora, a parte queste poche righe, quest’anno non ti scriverò.
Con affetto,

A.

“Scripta manent”…

…mentre, invece, “verba volant“. Dicono.
STIGRANDISSIMICAZZI!
Non è vero.
Cioè, è vero che gli scritti rimangono, ma non è affatto vero che le parole volano… o almeno, non prima di aver scaricato una notevole quantità di merda sul destinatario. Come i piccioni.
E’ quello che mi è successo stamattina.
Chiacchieravo con una conoscente (ora, a chiamarla amica, mi vengono le coliche) che pensavo mi conoscesse bene, quando all’improvviso mi vomita addosso un: “Ma tu che ne sai… tu, per fortuna, il dolore non lo senti. Tu ridi, scherzi, spari i tuoi giudizi severi, tieni fuori gli altri dalla tua vita e stai tranquilla!”.
…………………
In quel momento, se mi avesse dato un cazzotto nello stomaco o una craniata tra i denti, sarebbe stato meglio. Che vuol dire che io il dolore non lo sento? Che per caso, brutta stronza che non sei altro, non avrai mica abboccato anche tu alla favoletta che se uno ride e scherza vuol dire che è felice? E non ti è mai passato per quel cervello bacato che ti ritrovi, che sparare giudizi severi forse è un modo per pararmi il culo? O che magari preferisco tenermi i miei dolori per me, senza provocare ernia inguinale al mio prossimo, diversamente da come fai tu?
Quello che non si sa, o che non si dice, non è detto che non esista.
E se non mi vedi piangere o disperarmi non è detto che io non lo faccia nell’intimità della mia stanza, nella mia solitudine, o, magari – pensaci – con chi ritengo sia più meritevole di te di vedermi soffrire.
Cretina.
Perché il dolore ha una sua dignità, un suo pudore, e non tutti siamo disposti a tenere un congresso ogni volta che la vita spara uno dei suoi colpi bassi.
Perché non a tutti piace ricevere pacche sulle spalle o pietismi di ogni specie e genere.
Perché tanto se non ci penso io a me e se i miei problemi non li risolvo io, certamente non potrai farlo tu per me. E magari può anche darsi che io riceva calci in culo da chicchessia, talmente da tanto tempo, che se non avessi imparato a ridere e a scherzare, a quest’ora probabilmente sarei terra di cimitero.
Ma tu che ne sai… sì, TU che ne sai!?
Se avessi un minimo di sensibilità, avresti evitato di inventarti i più infimi stratagemmi per tenerti stretto un uomo che non ti vuole più da anni; se tu realmente avessi la capacità di vivertelo sto cazzo di dolore, che tanto ti piace sbandierare e ostentare, non avresti risposto a chi ti ha spifferato il tradimento del tuo compagno con un: “Per favore, non voglio sapere niente… faccia quello che vuole, basta che io non lo venga a sapere!”; se mi avessi ascoltata realmente, anche mezza volta, quando ti parlavo della mia storia, e se avessi avuto la capacità di guardare oltre il tuo naso, ti saresti accorta che la persona con la quale sono più severa al mondo, sono io. Io che perdono agli altri, ma che sono incapace di perdonare a me stessa anche la più piccola mancanza. Ti saresti resa conto che se non permetto a nessuno di entrare nella mia vita è solo perché ogni volta che l’ho fatto ho dovuto poi camminare coi piedi nudi sui frammenti di vetro rotto e raccogliere i cocci. E che probabilmente, ora come ora, non avrei la forza di farlo di nuovo.
Se avessi un minimo di empatia, forse avresti capito anche che io non basto affatto a me stessa, che non sono indipendente come tu credi e che non scappo dall’amore perché credo di non averne bisogno: rido di me stessa perché sono insicura al punto di non aspettare che lo facciano prima gli altri, che sono talmente manchevole di amore, di cure e di attenzioni che ho paura di trovarle per poi doverne fare di nuovo a meno e che se difendo con i denti la mia scorza è solo perché è fatta di cristallo: basterebbe un niente a sgretolarla…

Se tu fossi, se tu avessi, se… ma tu non hai capito un cazzo e siccome non mi piace che le persone si sentano sciocche a causa mia, ti dò volentieri ragione: sono severa.
E te lo dimostro: fuori dalla mia vita, cogliona!

A pro di…?

Lontana da ogni buonismo, dalla presunzione di non averne mai fatto a mia volta e dalla tentazione di cadere in banali luoghi comuni, mi chiedo… perché fare del male?
Certo, potrebbe esserci uno scopo non altrimenti raggiungibile, una finalità che è tanto più vicina quanto più efficace è la demolizione di chi ci precede, o, ancora, perché qualcun altro possiede ciò che si desidera ardentemente e che non si riesce ad avere diversamente.
Per quanto tutto questo non giustifichi azioni meschine e crudeli, può quanto meno spiegarle.
Dare una parvenza di logica, seppur malata e deviata, ad un certo tipo di comportamenti.

Ma quando tutto questo manca, lo scopo qual è?
Far del male, a pro di…?
Non ci arrivo, proprio non ci arrivo… mi sgretolo nelle mani di chi conduce il gioco, impossibilitata a mettere fine ai propositi distruttivi di chi, evidentemente accecato dall’odio (per qualche ragione che ignoro: non sono vicina a nulla, non posseggo nulla) prova a minare le poche certezze che nel tempo mi sono costruita. E mi spavento.

Che poi spaventare me è come sparare sulla Croce Rossa: ho già abbastanza paura di tutto, con o senza ulteriori tentativi, più o meno riusciti, da parte di chiunque altro…

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